Maria scendeva lungo il sentiero di pietra e sterpi. A seguire: Goru. Ai loro piedi il mare. Maria canticchiava un motivo nuovo saltando tra sassi e rovi come se li conoscesse per nome, uno ad uno. Goru scodinzolava poco più avanti.
Sulla spiaggia, protetti dall’ombra delle tamerici, Goru e Maria giocavano spesso a rincorrersi.
-Dove sei stata, Maria?-
-In paese, madre-
-Ti hanno vista scendere il sentiero-
-Non ero io, madre-
-Hanno visto Goru scendere il sentiero con te-
-Non era Goru, madre-
La piccola isola che Goru e Maria possono scorgere dalla spiaggia in fondo al sentiero di pietra e sterpi è Sultana. E, su Sultana, proprio sul picco della roccia più alta, sorge la minuscola chiesa di zan Yachinto.
Si narra una strana storia a proposito di Sultana e della chiesa di Zan Yachinto. Sembra che due volte l’anno, e precisamente il quindici giugno e il venticinque dicembre, le campane della chiesa prendano a suonare come impazzite. Il fatto strano è che Zan Yachinto non ha né campane né, tantomeno, campanari. Chi l’ha costruita deve aver pensato che era inutile dare campane ad una chiesa senza fedeli. Per via del vento e delle correnti, infatti, nessuno avrebbe mai potuto metter piede su Sultana e andare a pregare a Zan Yachinto. Bisognava accontentarsi di guardarla da lontano. Sembra che Sultana sia stata raggiunta solo da chi ha costruito Zan Yachinto.
-Dammi il braccio, Maria-
-Prendi, madre-
-Sai di sale, Maria-
-Ti sbagli, madre-
-Ho leccato ed è sale-
-Dovresti smettere di leccarmi le braccia, madre-
Sdraiata sul dorso, con la sabbia calda a carezzarle la schiena, Maria osservava attenta la minuscola chiesa di Zan Yachinto. Lo fa tutti i giorni di nascosto da Madre. Era il quattordici giugno. Un giorno stranamente caldo data la stagione. Goru, sdraiato al suo fianco, si era appena addormentato. Maria pensava: -adesso  suonano-. Un mulo tutto solo passava sul sentiero.
-Hai fatto i compiti, Maria?-
-Si, madre-
-Posso vederli, Maria?-
-Non adesso, madre-
-Dove corri, Maria?-
Il mulo si era fermato ai piedi del sentiero e Goru, svegliatosi, abbaiava a Zan Yachinto. In un attimo… il mulo corre verso Maria. Goru abbaia più forte. Maria corre verso il mulo. Un’onda si alza nei pressi di Sultana e corre verso la spiaggia, in direzione di Goru. Se possibile Goru abbaia più forte. Maria corre, il mulo corre. Anche l’onda partita da Sultana sta correndo verso Goru. L’onda cresce. Nei pressi della spiaggia è divenuta un muro d’acqua e schiuma. Il mulo si ferma. Goru smette di abbaiare. Maria si volta e vede l’onda. L’onda corre ancora. E cresce. Goru è immobile e zitto, lo sguardo fisso sull’onda che arriva.
-Sei tutta sporca Maria-
-Credi, madre?-
-Che hai fatto ai tuoi vestiti?-
-Nulla, madre-
-E Goru dov’è? Non lo vedo da stamane-
-Ho da fare i compiti madre-
Maria è immobile, il mulo è immobile, Goru immobile, l’onda cammina. E’ il quattordici di giugno. Le campane di Zan Yachinto suonano di quindici. Eppure Zan Yachinto è impazzita. Suona. Zan Yachinto suona. Le campane stanno suonando. L’onda si ferma. Il muro d’acqua e schiuma rimane lì, fermo di fronte a Goru.
Padre Xilou aveva parlato spesso a Maria del potere dei suoni. Le domeniche, dopo il catechismo, Maria si fermava a tormentare Padre Xilou con la sua insaziabile curiosità. Domandava per ore. E non si stancava fintanto che Padre Xilou non le aveva dato almeno una risposta soddisfacente. Soddisfacente per Maria, s’intende. Lui era dotato per sua natura di una pazienza invidiabile. Non potrà mai dimenticare, Maria, della prima volta in cui Xilou le aveva spiegato quanto potessero essere potenti i suoni. Tutti i suoni. In principio le aveva parlato delle musiche che Celia suonava durante le funzioni domenicali. Le aveva fatto notare come al levarsi della prima nota il silenzio divenisse quasi irreale. Di come la gente fosse presa contro la propria volontà e trasportata in un’altra dimensione, non si sa bene quale. Ma quello era stato solo l’inizio. Con il passare del tempo e l’approfondirsi del loro rapporto i resoconti di padre Xilou si fecero sempre più dettagliati. Non sapeva Maria se prendere come vere le parole di lui oppure lasciarsi semplicemente trasportare dal suono di una favola. Xilou le disse di conoscere chi aveva costruito Zan Yachinto. Di essere stato più volte sull’isola di Sultana. Di essere anche stato testimone diretto di parte dei lavori di costruzione della piccola chiesa.
-Oramai molti anni fa, Maria, un uomo venne sull’isola per dimenticare un amore appena perduto. Sbarcò un quattordici giugno di un anno lontano. Non ricordo quale. Non aveva pensato di restare né di andare. Era sbarcato qui per caso. Mi disse che l’unico desiderio che gli era rimasto era quello di andare per mare. Lo incontrai al porto che era appena sbarcato. Portava con sé un piccolissimo bagaglio. In un’alba memorabile mi fermò per chiedermi se ci fosse in paese un posto nel quale avrebbe potuto trascorrere la notte. Mi accorsi immediatamente della tristezza celata nei suoi occhi e gli offrì di passarla al convento, la notte. Allora ero piuttosto giovane e coltivavo l’assurda fantasia di poter risolvere ogni umana tristezza solo con il potere della mia fede. Accettò di seguirmi. Quella notte si moltiplicò e Agiou rimase con noi per tre anni, quindici giorni e venticinque ore. Al convento erano tutti contenti della sua presenza. Era discreto, sorridente e sapeva riparare ogni cosa. Soprattutto, amava costruire. Costruiva ogni genere di oggetto; sia cose utili che bellissimi oggetti inutili. Costruiva con tutto quello che trovava. Non comprava niente. Semplicemente trasformava ciò che noi avremmo buttato. Poi, d’improvviso, Agiou prese a sparire per intere giornate. Provai a domandargli cosa facesse durante quelle sue sparizioni. Non mi rispose. Non fu scortese, ma non volle rispondermi. La cosa durò a lungo, forse per mesi, finchè un giorno non mi decisi a seguirlo. Scendeva lungo il sentiero verso la spiaggia che fronteggia Sultana, portando con sé una piccola borsa. Feci in modo che non mi vedesse. E lo osservai. Una volta giunto sulla spiaggia Agiou apriva la piccola borsa e ne estraeva oggetti di ogni genere: tappi di bottiglia, fili, pezzi di legno, noccioli di pesca e una infinità di altre cose. Stava costruendo un’imbarcazione. Per settimane lo osservai, nascosto dietro ai cespugli spinosi del sentiero, finchè, un giorno, Agiou mi chiamò a gran voce dalla spiaggia. Mi chiese di raggiungerlo. E quando fui lì, accanto alla sua incredibile imbarcazione, mi chiese di accompagnarlo su Sultana. Sapeva fin dal primo momento che io ero lì a spiarlo, ma la cosa non lo aveva infastidito. Mi disse che sperava di avermi con lui sia al varo che nel momento in cui avrebbe messo piede per la prima volta su Sultana. Ebbi paura. Quel mezzo di trasporto mi sembrava così precario. Eppure c’era qualcosa in Agiou e nella sua improbabile impresa che mi attraeva. Agiou aveva il dono di trasmettere fiducia e speranza. Accettai. Da quel momento raggiungemmo Sultana tutti i giorni alla stessa ora: le quindici e venticinque. Lui portava sulla barca la stessa piccola borsa. Una volta arrivati, deponeva i suoi oggetti sul suolo di Sultana, tracciava dei segni per terra, diceva una preghiera e mi invitava a tornare indietro.
Durò parecchio quel pellegrinaggio. Finchè Padre Almondès, il mio superiore, turbato dalle nostre continue sparizioni, non mi intimò di desistere. Non sapeva, il Padre Superiore, quale fosse il motivo delle mie assenze, ma volle fermarmi in ogni caso. Qualcosa gli diceva che non c’era niente di buono nei miei viaggi. Fu così che Agiou proseguì da solo nella sua impresa. Il quindici di giugno venne a chiamarmi in cappella e mi disse che aveva fatto una grande scoperta e che dovevo assolutamente seguirlo e fidarmi di lui. Agiou mi aveva parlato spesso della sua teoria dei suoni. Riteneva, infatti, che ogni cosa avesse una sua musica e che la musica delle cose suonasse in accordo con i pensieri di coloro che le amavano. Mi disse di aver costruito una piccola chiesa senza campane e di essere convinto che le campane avrebbero suonato comunque se noi lo avessimo voluto. Lo seguì, preda già del suono della sua voce. Arrivammo velocemente sulla spiaggia di fronte a Sultana. Ci sdraiammo, io e Agiou, sulla sabbia tiepida e aspettammo. Contai fino a quindici e… a quindici le campane di Zan Yachinto suonarono. Suonarono l’addio di Agiou a Iasmina. Posso giurare che è accaduto. E’ andata proprio così come ti ho raccontato. Agiou fu finalmente libero e lasciò l’isola. Per sempre. Tornò alla sua vecchia vita, nuovamente leggero senza il suono del suo dolore. Non l’ho più visto né ho avuto sue notizie, ma, da quel giorno, sono certo che Agiou avesse ragione quando parlava del potere del suono sulle nostre vite.-
Goru guardava l’onda. Maria guardava Goru e poi l’onda e ancora Goru e ancora l’onda. E l’onda stava lì, muro di acqua e schiuma, a fissare Goru. Goru fece un balzo e, in un attimo, fu sul muro. Volò. Maria gridò con quanto fiato aveva in gola. Cercava di fermare Goru. L’onda riprese a camminare. Questa volta in direzione opposta. Tornava verso Sultana. Goru volava a cavallo dell’onda. Sembrava felice. Era felice. Maria continuò a gridare finchè ebbe fiato. Poi, il suo grido divenne canto. Cantò un addio. Senza rimpianto. Senza troppo dolore. Goru andava perché voleva andare. Le campane suonarono un inno. Suonarono la musica di un trionfo. Goru la guardò per l’ultima volta. Maria cantò per Goru.
-Non vedo Goru da cinque giorni, Maria-
-Canta, madre-
-Dovresti smettere di fantasticare, Maria-
-Perché dovrei, madre?-
-Hai fatto i compiti, Maria?-
-Si, madre-
-Posso vederli?-
-Si, madre-
Maria scende lungo il sentiero di pietra e sterpi, saltando i sassi come se li conoscesse per nome, uno ad uno. Porta con sé solo una piccola borsa.

 

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