Valeriè infilò la chiave nella toppa e aprì la porta con una botta d’anca. Si girò verso Libero che la seguiva senza capire, gli sorrise e lo tirò dentro prendendogli un braccio dal polso. Non passò molto tempo da quando la porta pesantemente li chiuse dentro al bilocale della francese a quando si ritrovarono dentro un letto, nudi e con Libero sempre più inebetito. Ma le cose non andarono poi tanto bene. Libero si tirò su con la schiena appoggiandosi alla testiera del letto, sistemò il cuscino e si rimboccò il piumone. Guardava in basso in silenzio. Muto. Valeriè guardava il soffitto in silenzio. Muta. L’imbarazzo si tagliava col coltello ora che la sbornia stava passando e che la passione aveva lasciato il posto alla consapevolezza. Si ritrovarono come Adamo ed Eva. Nudi. Consapevoli ora di esserlo.
“Mi dispiace”, con voce incerta ruppe il silenzio. Valeriè si mosse appena scuotendo il capo per dire no. “Non ti preoccupare… capita”, disse dopo qualche secondo. Libero non riusciva nemmeno a pensare. Non capiva cosa ci faceva lì, come poteva essere successo. Libero non afferrava i pensieri perché questi erano troppo veloci. Da quell’ottobre non gli era più capitato di fare l’amore e nemmeno di provarci. Sentiva ancora il suo odore, sentiva la sua pelle, sentiva il suo calore. Era difficile abituarsi ad un altro corpo. Forse era questo il motivo della sua defaillance…
Valeriè gli prese una mano e Libero se la fece stringere senza guardarla. “Hai una sigaretta, Valeriè?” “Si…”, s’allungo verso la borsa che giaceva accanto al letto e sfilò un pacchetto di Gauloises blue e un accendino rosa. “Grazie, scusami ancora…” Dandole le spalle scese dal letto e si coprì con la sua giacca imbottita andando verso la finestra. La aprì e la scostò leggermente per fare uscire quel filo azzurrino di sigaretta. Fuori la pioggia era diventata neve. Fiocchi grandi e soffici cadevano evidenziati dalle luci dei lampioni. Nevicava di brutto e già si posava un leggero strato immacolato di neve sull’asfalto della strada deserta a quell’ora della notte. Nevicava fuori e dentro di lui si posava in fondo al cuore una tristezza lieve e gelata. Avrebbe pianto volentieri ma si trattenne. Valeriè lo guardava assorto nei suoi pensieri. Poi uscì fuori dal letto e s’avvicinò a lui. Gli lasciò scivolare la giacca per terra. Libero sentiva il calore del suo corpo che quasi lo sfiorava, sentiva il suo respiro tra i suoi capelli, sentì il suo odore buono di lavanda provenzale e le sue mani sfiorargli il ventre. S’irrigidì di sorpresa. Poi sentì le sue labbra sfiorargli il collo proprio dietro l’orecchio destro. Tirò la testa all’indietro e socchiuse gli occhi rilassando gli addominali. Valeriè gli tolse il mozzicone di mano e lo lasciò cadere oltre la finestra, poi tirò a sé Libero stringendo forte, più forte che potè. Libero sentiva i suoi seni premere contro la schiena, il suoi peli pubici solleticargli i glutei. Si rilassò completamente, l’odore di Marianna svanì coperto da quello della lavanda provenzale. La tristezza si sciolse e rimase il momento, rimase la vita da vivere, rimase il presente. Rimase il corpo di Valeriè, la sua passione bruciante e quelle parole in francese che sospirava baciandogli il collo. I fantasmi svanivano, svaniva la paura, il blocco.
Fecero l’amore come due affamati, aggrappandosi l’uno alla solitudine dell’altra, bramosi ed affamati di vita. Quel giorno, come ormai non gli accadeva da tempo immemore, si sarebbe addormentato esausto e contento, senza pensare “è finita un’altra giornata di merda!”. Aveva perso l’abitudine di parlare al futuro, di fare progetti. Da quando era finita con Marianna era rimasto come immobile nel tempo a guardarsi alle spalle il passato mentre tutt’intorno continuava a correre la vita incurante di Libero e di nessuno. Parlava e pensava al passato senza godersi il presente. Sapeva che tutti ci sbattiamo per cose del tutto superflue e che passiamo le giornate a raccontarci bugie ma l’unica cosa di cui abbiamo bisogno alla fine è amore. Non sapeva come uscire da quel limbo che s’era costruito e nel quale sguazzava indeciso. Ma quella notte mentre fuori nevicava s’addormentò leggero stringendo a sè Valeriè e respirando attraverso i suoi capelli qualcosa che profumava come la felicità e tutto il resto non contava.
Bravissimo!
Il racconto-puntata di oggi mi piace molto.
Ci avviamo all’happy end con meditata e rispettosa dignità.
Intendo il rispetto degli uomini, delle loro problematiche, delle loro difficoltà, della fatica di vivere e di riconoscere la propria debolezza per poter scoprire la forza che si racchiude in ognuno.
Ritrovare che niente è mai perduto, che si può e si deve ricominciare, facendo tesoro anche dell’esperienza negativa e della sofferenza che inevitabilmente fa parte di noi, che il volersi bene e il rispettarsi sono i sentimenti alla base del rispetto che nutriamo per gli altri, tutto ciò costituisce il percorso che si chiama crescita verso la maturità della persona.
Testo ben scritto, sobrio e coinvolgente.
Un abbraccio.
Ciao
anna
5 stelle
Marianna che fatica, povero Libero!!!
Bravo, molto bravo. Un bel racconto ricco di particolari che portano ad un risveglio positivo, lasciandosi il grigiore alle spalle.
Buon proseguimento.
Sandra
Molto bello,
mi piace molto.
chiara
Molto bello, scritto veramente molto bene, bravo. Ciao da Betta
Grazie a tutti… Libero forse ha trovato il suo angelo… Nella vita tutto può succedere…
Non mi piace il “nevicava di brutto”
è un cambio di stile e non sta bene e anche “che tutti ci sbattiamo” non è elegante e ricorda il linguaggio parlato… comunque bello!