Irene non sapeva se fosse un buon segno o l’inizio della catastrofe, ma di sicuro sapeva che niente sarebbe più stato come prima… comunque, quell’ascensore non l’avrebbe preso, non sarebbe andata da quella donna, non le avrebbe chiesto le ragioni del rapporto che lei aveva allacciato con suo marito, né da quanto tempo era iniziata la loro storia, né del perché lei l’avesse troncata causando in Cesare, il marito, la pesante depressione a cui era andato incontro nei mesi precedenti e che l’aveva costretta, proprio quel giorno, ad abbandonare la casa in cui erano vissuti per quindici anni ed a portarsi dietro la figlia tornando a vivere dai propri genitori.
Aver preso la decisione di lasciarlo le era costato. Lei era sempre stata convinta della giustezza della vita familiare ed il loro rapporto nei primi anni di convivenza e poi di matrimonio era stato splendido. La nascita della figlia li aveva resi ancora più felici ed il focolare domestico, poi, per tutti e due, era importantissimo: il rifugio dal mondo, la felicità costruita insieme, nelle piccole cose, nell’intimità, nel sentirsi a casa…
Le venne alla mente, come un flash, la scena di “Uno sguardo dal ponte” quando lui, ormai ferito mortalmente, dice alla figlia: – Portami a casa. Voglio andare a casa.
Ecco, la casa, la famiglia, vista come la base del mondo, della vita in comune, dove gli affetti e le relazioni, se espressi in modo positivo, sono il sale dell’esistenza, il suo significato ultimo e conseguente, il rifugio verso la stoltezza e l’assurdità… l’ermetismo del mondo. Ecco, lei a questo aveva creduto con tutto il cuore ed a questo aveva uniformato la sua vita ed i comportamenti.
Ed era stato tragico per lei vedere deformarsi quel mondo, quell’uomo, quelle certezze, quelle aspettative, quella loro progettualità, quel loro nido d’amore. Come era potuto accadere? Irene sapeva che l’animo umano è insondabile, che gli anni e le esperienze… la vita… cambiano gli uomini; che tutto scorre, che le cose vanno come devono andare, che tutto è così poco immanente. Ma sapeva anche che è bello poter guardare il proprio uomo negli occhi e nei suoi occhi profondi vedere il grande amore che nutre per la propria compagna. Succede, pensava Irene… a tante succede. Ed era vero, pensava. Pensava ai propri genitori che si erano amati tutta la vita. Ai suoi zii che avevano fatto altrettanto. Pensava a quando li vedeva guardarsi negli occhi con tanto, tanto amore, ed a lungo, e sussurrarsi qualcosa baciandosi con tenerezza, anche ora che erano anziani, anche prima, anche sempre.
Ma sapeva Irene, che non a tutti è dato di essere così fortunati; che il Paradiso Terrestre non era per lei, non con quell’uomo, non in questo periodo della sua vita. Lo amava ancora, e tanto, ma non poteva più vivere con lui… No, non avrebbe preso quell’ascensore, non avrebbe continuato su quella strada, doveva vivere positivamente. Scese le scale dell’androne di lei ed uscì nel cortile luminoso. Decise che sarebbe andata a prendere Flaminia a scuola, subito, e che con lei sarebbe andata a casa dei genitori. Non aveva paura. Da quel giorno iniziava una vita nuova.
Mi colpisce il fatto che tu abbia dato a questo personaggio femminile il nome di Irene che anch’io avevo utilizzato per un altro tipo di personaggio femminile vittima e virago, con carattere forte e fragile insieme, emblema di molte donne del secolo scorso.
mi colpisce il modo in cui hai sviluppato pensieri, domande, azioni che caratterizzano questo tuo personaggio femminile.
soprattutto il fatto che per un momento, di fronte al tradimento del marito, pensi di chiedere all’amante del marito i motivi del di lui innamoramento e quindi i motivi dell’abbandono da parte di lei che determinano la depressione in lui e il successivo abbandono del tetto coniugale di Irene.
indipendentemente dalla correttezza espositiva, non credi che ci sia una fragilità organizzativa del testo?
credi che un marito, anche se fedifrago, vada abbandonato se malato e non piuttosto in questo caso, prima che si ammali?
e comunque il personaggio Irene deve lasciare il campo senza battersi, arretrando e rassegnandosi?
credo che mi stia sfuggendo qualcosa o forse hai tagliato tu qualche passo sui tormenti spirituali di Irene.
almeno, io come lettore, immedesimandomi, qualche tormento in tal senso me lo pongo.
a
Triste ma determinato. Si, succede l’amore fra due coniugi per tutta la vita, non credo neanche che sia così tanto raro. Forse viene più facile raccontare gli amori finiti male che raccontare le storie durature che forse, per alcuni, sono noiose.
Comunque Irene, a questo punto, penso che abbia agito come doveva.
Ciao.
sandra
Per Anna…
non so, mi è venuta da raccontarla così… per la vaghezza di alcuni sentimenti… non credo o non so se è un bene ma sento di dover comunicare una certa vaghezza…
Per Sandra…
Si, io avrei agito così…