Proprio a ridosso del fiume Lambro fino a qualche mese fa c’era un locale gestito da padre e figlio, entrambi con qualche problema con la giustizia, roba di poco conto comunque, assegni scoperti, qualche aggressione, niente di preoccupante.
Se percorrevate la strada che viene giù da Linate non potevate non vedere l’insegna accesa anche di giorno, coi suoi neon viola La tana Melodica era l’unico posto dove si faceva musica dal vivo nel giro di chilometri, la famiglia Laganà l’aveva vinto a poker e l’aveva riconvertito da pizzeria a Music Pub, dove dicevano potevi sempre ascoltare della buona musica e bere birra d’importazione.
In realtà la birra che servivano era annacquata e la buona musica era sempre quella che sceglievano loro.
Per qualche tempo frequentai anche io La Tana ma solo in qualità di barista, erano gli ultimi rantoli di vita del locale, l’effetto sorpresa si era esaurito da un pezzo e gli avventori rimasti erano solo vecchi ubriaconi e ragazzini senza macchina che non potevano andare a Milano e se ne stavano lì ad ascoltare lo stereo fino a notte fonda prima di uscire a tirare qualche sasso ai topi che oramai erano sempre più numerosi dei clienti.
Era tempo che nessuno veniva più a suonare dal vivo, i Laganà erano direttori artistici spietati, non permettevano alcuna libertà nella scelta della scaletta, credevano di sapere esattamente cosa piacesse alla gente e cosa no, per un un certo periodo ebbero anche ragione, un gruppo che faceva cover dei Led Zeppelin venne bottigliato fuori dal locale mentre non avevano nemmeno attaccato col terzo pezzo, il rozzo ed incolto pubblico aveva sopportato a malapena Heartbreaker e Communication Breakdown, a metà di Black Dog cominciarono a partire le prime bottiglie di Beck’s, i tre dovettero fuggire dal locale praticamente con gli strumenti a tracolla mentre la teppa giovane distruggeva la grancassa e i vecchi avvinazzati si lamentavano con padre e figlio per la scelta della musica.
Tant’è per un lungo periodo si andò avanti con cantanti o pseudo tali perlopiù amici di amici, poi causa spopolamento progressivo decisero che la musica dal vivo non funzionava e i due tiranni decisero che un bello stereo e dei cd potessero risolvere la situazione a loro favore senza spendere soldi per gli ingaggi di artisti che non attiravano nemmeno le mosche.
Poco prima che i Laganà chiudessero La Tana Melodica mi si presenta al bancone del bar un individuo sui quaranta, una faccia che non mi era nuova, giacca di pelle verde su un paio di jeans dal taglio tremendamente antiquato che cascavano a brandelli su di un paio di scarpe da tennis in tela, tutto dava l’idea di povertà, di un uomo male in arnese, mi ordina un Jack e poi attacca a parlare con la cantilena di chi non è al primo bicchierino della giornata.
“Cerco i Laganà, padre o figlio non fa alcuna differenza, devo parlare con loro per una serata, sono un musicista” chiosa lui.
Pare indifferente quando lo informo che non c’è più un programma che preveda musica dal vivo, trangugia il suo whisky con nonchalance e mi ripete che lui vuole i Laganà, “padre o figlio, chi se ne fotte”
“Almeno posso sapere chi cazzo devo annunciare” faccio io.
“Amleto Bornaghi” risponde fiacco lui.
Ecco chi è costui penso io mentre salgo le scale dell’ufficio dei due, non è altri che il figlio della più grande celebrità del nostro quartiere, Enzo Bornaghi, meglio conosciuto come l’uomo del pennello cinghiale, non il vigile sia chiaro, no l’uomo che con un enorme pennello sulla schiena declamava la frase “per una parete grande ci vuole un pennello grande”, questo spot che forse solo da pochi anni non va più in onda gli aveva dato una certa fama, se non altro nel posto nel quale vivo io, poi se ne era dovuto andare perchè i fini umoristi del luogo gli chiedevano continuamente di far vedere se poi davvero ce l’aveva questo grosso pennello.
“C’è Amleto Bornaghi giù al bar che le vuole parlare di una serata” dico io al vecchio Laganà e mi pare che quando capisce di chi sto parlando getti gli occhi al cielo, disperato.
Scende i gradini a due a due e si avvicina alla figura che al bar intanto si sta servendo da solo un’altro Jack, si è tolto la giacca di pelle e sotto non ha altro che una vecchia canottiera che gli casca addosso come un sudario.
“Amleto sono contento di rivederti, quando sei uscito?”
“Non importa” risponde lo straccio umano, “ricordi cosa mi hai promesso mentre eravamo dentro vero Laganà, ricordi che mi avevi promesso una serata nel tuo locale, beh eccomi qua, voglio i manifesti col mio nome come mi avevi promesso, voglio la mia serata”.
“Ancora fissato con la musica eh Amleto? ma non sarebbe meglio se salissi sul palco e dicessi la battuta di tuo padre, guarda sono sicuro che se ne viene giù il locale, qui non si fa più musica dal vivo, c’è uno stereo, fai come ti dico io: tu sali sul palco dopo che io ti ho annunciato, magari spieghi bene chi sei, di chi sei figlio, dici la battuta, il pubblico ti applaude e ti sei guadagnato la serata e tutto il jack che vuoi, che ne dici” butta lì il Laganà speranzoso.
“Mio padre era un coglione, io sono un musicista, non salirò sul palco per due minuti per parlare di un pennello, non voglio nemmeno che si sappia di chi sono figlio, a tal proposito ho un nome d’arte, ci manca solo che quando dici Bornaghi qualcuno se ne esca con la storia di fargli vedere il pennello, io mi chiamo Amleto Springer, quello è il nome che va sui manifesti, versami un altro Jack tu” e si rivolge a me per qualche secondo, per qualche secondo il grande Amleto Springer mi degna della sua considerazione. Mi viene voglia di mandarlo a fanculo.
“Vedi Amleto” sospira il Laganà “io la serata te la faccio anche fare, sai che per me una promessa è sacra, ti faccio anche i manifesti come vuoi tu, il problema è che qui a nessuno frega un cazzo della musica che vuoi fare, King Crimson, Pink Floyd, Hendrix, l’altro che mi dicevi sempre, il capitano coso”
“Captain Beefheart” ribatte lui fiero.
“Ecco si, la gente qui non ha idea di chi siano queste persone, qui pensano che il rock l’abbia inventato Ligabue, pensano che Vasco Rossi sia un rivoluzionario, e poi abbiamo solo basi preregistrate della Pausini, di Gigi D’Alessio…”
Guardo il volto del Bornaghi, pardon di Springer assumere un’aria di disgusto, pare il grande artista che non vuole scendere a compromessi con l’establishment, ma qui siamo alla Tana Melodica, davanti al fiume Lambro dove i topi hanno sempre un posto d’onore, non ci troviamo al Fillmore o al Roseland, ma tant’è, tra i due intercorrono sicuramente rapporti e patti che non sono a conoscenza di un povero barista.
La grande serata del figlio d’arte Amleto Springer è fissata, per venerdi 3 giugno i manifesti nel quartiere invitano tutti gli amanti del rock a non mancare ad un avvenimento eccezionale, proprio così c’è scritto, e immagino la faccia dei Laganà mentre fanno stampare il manifesto, sotto la scritta a caratteri cubitali c’è la foto dell’artista ripreso col volto in penombra mentre guarda esterefatto o così pare la sua mano impegnata in un’accordo.
Naturalmente alla serata non accorrono altro che i soliti habituè, più qualche altro che si aspetta di sentire qualche cover del Vasco, invece alle nove in punto senza presentazione alcuna si palesa sul palco un uomo già sudato in canottiera blu e bermuda, imbraccia una prs color oro che sicuramente vale più della sua vita, dice solo “Mi chiamo Amleto Springer e non farò nulla di quello che vi aspettate”.
Sceglie di partire con Interstellar Overdrive e cazzo bisogna ammettere che quella chitarra la sa suonare sul serio, prosegue con una versione di Astronomy Domine davvero incasinata ma affascinante, il pubblico ovviamente non capisce, non lo possono bottigliare perchè Laganà è stato chiaro, ma gli gettano i bicchieri di plastica, gli lanciano palle di carta e la birra si mescola al sudore che gli cola dalla fronte, qualcuno grida di fare albachiara mentre lui sta attaccando 21st Century Schizoid Man, “idioti del cazzo” penso io.
Quando attacca Starless nel locale non c’è più nessuno, la gente si è riversata fuori, c’è solo quest’uomo fradicio sul palco illuminato da una luce blu, si vede che non gliene importa nulla che non ci sia il pubblico, solo io lo guardo e per un attimo ne sono certo, non ho visto un barbone avanzo di galera, ma un elegante ed algido signore Inglese di nome Robert Fripp.

 

Un commento su “Amleto Springer”
  1. un bel racconto che ben descrive luoghi e situazioni.
    mi piace.
    ciao
    anna

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