Capitolo 1.

L’inaugurazione.

C’era grande festa, quel giorno, in paese: si festeggiava la riapertura dell’antica stazione ferroviaria di Pabillonis, che per cinquant’anni (dal 2014 in poi) era rimasta inattiva.

La stazione, ora completamente rimodernata, avrebbe permesso di collegare il piccolo paese di Pabillonis con il resto della Sardegna, attraverso treni a tecnologia avanzata, ad altissima velocità, e con le principali città italiane ed europee, attraverso gli autobus-droni per il trasporto dei passeggeri e i camion-droni e mini-droni per il trasporto di merci.

Quasi tutti i cittadini parteciparono ai festeggiamenti.

Era una festa “all’antica”, perché così era stata fortemente voluta dal Sindaco e dalla Giunta comunale: c’erano i venditori di torrone e dolci sardi, il carretto dello zucchero filato, era stata anche allestita una mostra con i prodotti artigianali e gastronomici locali e la banda del paese suonava il proprio repertorio dal vivo.

Tutti erano allegri e si divertivano.

Si preparavano i fuochi d’artificio olografici (quelli tradizionali erano stati vietati molti anni prima, per ragioni di inquinamento acustico ed ambientale) per celebrare quell’evento tanto atteso e su cui il Sindaco aveva basato gran parte della propria campagna elettorale.

Il primo cittadino, Bachisio Brundu, sempre rigorosamente in giacca e cravatta, per l’occasione indossava anche la fascia tricolore.

Aveva la fama di essere un uomo colto ed intraprendente, appassionato di storia e di antiche civiltà.

Nel bel mezzo dei festeggiamenti, Brundu salì su un piccolo palco, predisposto per l’occasione, ed iniziò compiaciuto il proprio discorso inaugurale, affiancato dalla vice-sindaco (nonché Assessora ai Lavori pubblici), l’Ing.ra Alenixedda Lilliu.

Quest’ultima era una donna raffinata e distinta.

I più maliziosi sostenevano che avesse una relazione extra-coniugale con il Sindaco. Se ciò fosse vero, non è dato saperlo ma certo è che il marito della Lilliu non partecipava più agli eventi organizzati dal Comune da diversi mesi ormai e raramente lo si vedeva in paese in compagnia della moglie.

Brundu, tuttavia, non ebbe il tempo di completare la presentazione dell’opera ai propri compaesani, perché si presentò sul posto la Polizia Giudiziaria, con un mandato d’arresto proprio nei confronti del primo cittadino.

Furono attimi di grande concitazione, nessuno capiva bene cosa stesse accadendo, di cosa fosse accusato.

Fu subito tradotto nella locale Caserma dei Carabinieri e successivamente interrogato dal Vice-commissario e dal Sostituto Procuratore che si occupava delle indagini, in presenza del suo avvocato.

L’interrogatorio durò diverse ore e riguardò alcuni episodi in cui il Sindaco era stato visto discutere animatamente con un concittadino, un certo Antioco Lussurgiu, soprannominato “il Giallo” a causa dei suoi occhi a mandorla.

Lussurgiu, infatti, era stato appena rinvenuto, deceduto, sotto il cartello stradale di Serrenti Nord, in circostanze misteriose.

L’accusa, nei confronti del Sindaco, era di omicidio volontario.

Capitolo 2.

Il “Giallo”.

Il giorno successivo, in paese non si parlava d’altro.

Tutti i paesani erano spaventati per l’accaduto, era da così tanto tempo che non si verificava un così grave delitto a Pabillonis che nessuno aveva memoria di quando ciò fosse accaduto l’ultima volta.

Le voci si rincorrevano, ciascuno offriva una propria opinione su cosa fosse accaduto al “Giallo” e sul perché.

Molte persone affermavano di non credere minimamente che il Sindaco potesse essere realmente coinvolto: si pensò subito ad un errore giudiziario.

Eppure, in molti quella mattina si collegarono in videochiamata con il Comune, chi con un pretesto chi con un altro, per cercare di strappare qualche informazione ai dipendenti.

Gli utenti venivano ricevuti telematicamente, come ormai da molti anni, dalla Sig.ra Gavina Birdi, l’addetta all’Ufficio Telematico per le Relazioni con il Pubblico.

Gavina era una donna di mezza età, con i capelli scuri sempre ordinatamente raccolti; indossava abiti alquanto originali, dai colori sgargianti, e grosse collane di bigiotteria.

Non si può dire che fosse esattamente un esempio di riservatezza: tutto ciò che sentiva dire, lo riferiva a chiunque volesse ascoltarla.

Tutti i dettagli relativi alle indagini sul caso, tuttavia, venivano custoditi gelosamente dagli inquirenti.

Gavina, perciò, dovette accontentarsi di raccontare quel poco che sapeva sulla vittima.

Antioco Lussurgiu (“il Giallo”, appunto) era un artigiano che viveva in paese da sempre. Il suo laboratorio di ceramica artistica si trovava proprio davanti alla piazza della chiesa.

Negli ultimi tempi, gli affari non andavano molto bene per Antioco e, se il locale in cui lavorava non fosse stato di sua proprietà, sarebbe stato probabilmente costretto ad abbandonare la sua attività, che ormai portava avanti più per passione che non per i magri guadagni che riusciva a ricavarne.

Aveva, tuttavia, anche degli ampi terreni nella periferia del paese, che gli erano stati lasciati in eredità da alcuni familiari.

Il Comune voleva espropriare i terreni per realizzare un edificio scolastico. La competenza per l’edilizia scolastica, infatti, da circa 15 anni era diventata di esclusiva competenza dei singoli Comuni.

Si trattava, peraltro, di un progetto molto ambizioso, in quanto, dopo le riforme del 2040, in Italia, nessun edificio scolastico era più stato né costruito né utilizzato.

L’istruzione avveniva ormai completamente in modalità e-learning, come nel resto del mondo, e non era più obbligatoria, bensì facoltativa.

A causa di questi cambiamenti, l’abbandono scolastico era aumentato a livelli vertiginosi.

Disgraziatamente, le epidemie e pandemie che si erano verificate dal 2020 in poi avevano convinto i governanti a ridurre le possibilità di contagio chiudendo le scuole, le biblioteche, i musei e i cinema, considerati servizi non strettamente essenziali.

L’iniziativa governativa, inizialmente molto criticata, era stata, infine, accettata più o meno da tutti.

C’era chi sosteneva che il pericolo delle malattie fosse solo un pretesto per impedire alle persone di riunirsi, di ricevere un’istruzione adeguata e di migliorare il proprio livello culturale.

Tali idee, tuttavia, venivano giudicate troppo macchinose dalla maggioranza, che preferiva deriderle o, nella migliore delle ipotesi, ignorarle.

Capitolo 3.

Il mago di Magomadas.

I giorni passavano e le indagini proseguivano con grande discrezione.

Il silenzio serbato dagli inquirenti alimentava il diffondersi delle voci più disparate sull’accaduto.

Alcuni, ad esempio, sospettavano dell’ex moglie di Antioco, Giada Di Gesturi, notoriamente in pessimi rapporti con lui.

La Sig.ra Giada, dopo aver ottenuto il divorzio dall’ex marito, aveva nuovamente contratto matrimonio, stavolta con un Maggiore dell’Esercito, il Dott. Gaetano Domu.

Anche quest’ultimo non era visto dai paesani come al di sopra di ogni sospetto, poiché si diceva che più volte avesse avuto dei contrasti con Antioco, che pare lo accusasse di essere stato la causa del fallimento del suo matrimonio.

Altri, invece, vedevano con un po’ di sospetto anche l’atteggiamento di Borore Podda, artigiano che aveva un laboratorio non lontano da quello della vittima e che, nei giorni seguenti l’omicidio, si era immediatamente mostrato molto interessato all’acquisto del laboratorio di Antioco, suo storico rivale in affari.

Infine, c’era anche chi puntava il dito contro i parenti di Antioco, trasferitisi all’estero alcuni anni prima, dopo aver perso la causa giudiziaria sulla proprietà dei terreni di famiglia, e di cui nessuno, in paese, aveva più avuto notizia.

Si trattava, per l’appunto, di semplici sospetti, non suffragati da alcuna prova.

Il clima di tensione si faceva sentire; i paesani iniziavano a guardarsi attorno con diffidenza, investiti dalla paura che un gesto simile potesse ripetersi.

Fu in quel clima di incertezza e di inquietudine che la Sig.ra Gavina, spinta da un forte sentimento di giustizia, decise di andare lei stessa alla ricerca della verità.

A tal fine, si recò nello studio di Efisio Zuddas, il cosiddetto “Mago di Magomadas”, a quei tempi molto conosciuto e frequentato dai pabillonesi.

L’abbassamento del livello culturale e l’allontanamento delle masse dagli ambienti religiosi e spirituali aveva, infatti, indotto molte persone ad avvicinarsi alla superstizione ed alle arti occulte.

Gavina non fu immune da tali inganni.

Efisio Zuddas aveva un aspetto assai singolare: indossava un’uniforme perfettamente simile a quella del Comandante della storica serie televisiva Star Trek, di cui venivano ancora trasmesse le repliche.

Giunta nello studio del sedicente mago, Gavina venne fatta accomodare nella sala d’attesa dalla segretaria, Gonaria Vernant.

Gonaria, di origini per metà sarde (la madre era di Uta) e per metà corse (il padre era di Bonifacio), si era trasferita in paese circa dieci anni prima. Non era stato molto semplice per lei trovare lavoro, poiché una rara malattia l’aveva resa sorda e muta fin dall’infanzia. Per questo motivo, era conosciuta con il soprannome “la sordomuta di Uta”.

Contrariamente a quanto si potrebbe essere indotti a pensare, nei soprannomi utilizzati in paese non c’era alcuna cattiveria, alcuna volontà di isolare le persone sulla base di loro caratteristiche fisiche o caratteriali. Era solo un modo per identificare velocemente le persone, che non sottintendeva alcun pregiudizio.

La sala d’attesa dello studio del mago era una stanza molto particolare, ricca di oggetti esotici e cimeli antichi, di piante di chenzie e di bastoncini d’incenso che emanavano un profumo fortissimo; vi era anche una leggera musica orientale in sottofondo.

Dopo pochi minuti, Gonaria fece cenno a Gavina di entrare nella stanza di Zuddas, che aveva un aspetto molto simile a quello della sala d’attesa.

Gavina, ovviamente dopo averlo lautamente retribuito in anticipo, interrogò il mago sulle cause dell’assassinio di Lussurgiu.

Zuddas si concentrò a lungo, intonò una strana melodia ripetitiva, poi prese le sue carte dei tarocchi e cominciò a mescolarle.

Si trattava di antiche carte metalliche, raffinatamente dipinte a mano, che aveva ereditato da suo nonno, anche lui ritenuto “mago”.

Chiese a Gavina di dividere il mazzo in due parti usando la mano sinistra e proseguì riponendo ordinatamente sul tavolo, una affianco all’altra, le prime sei carte, per poi analizzarle con grande attenzione.

Dopo un paio di minuti, esclamò, con voce possente ed impostata: “Sciagurato è il braccio di colui che agì. Tra i mali possibili, non scelse il maggiore”.

Disorientata dalla risposta, Gavina tornò a casa pensierosa.

Capitolo 4.

Nuove rivelazioni.

Il giorno seguente, il quotidiano online “La Gazzetta di Pabillonis” riportava un articolo sull’omicidio di Lussurgiu.

Fonti reputate attendibili sostenevano che, al momento, il Sindaco rimanesse il principale indiziato ma che nessuna pista venisse esclusa a priori dagli inquirenti; affermavano, inoltre, che dall’autopsia fosse emerso che la vittima fosse stata uccisa quasi certamente per strangolamento, stringendole un braccio intorno al collo.

La notizia colpì molto Gavina, perché, leggendola, le tornarono subito in mente le esatte parole del mago di Magomadas: “Sciagurato è il braccio di colui che agì”, che inizialmente non aveva interpretato in maniera letterale e che ora, invece, le apparivano come un segno evidente delle abilità sovrannaturali del mago.

Decisa a raccogliere maggiori informazioni sull’argomento, si recò nel negozio di articoli tecnologici di Giada Di Gesturi, che conosceva da molti anni, con il pretesto di voler acquistare una mini stampante portatile.

Giada era una donna dinamica ed emancipata e gestiva da sola il negozio di sua proprietà; solo raramente veniva aiutata a sbrigare alcune questioni relative alla contabilità dal nuovo coniuge, un aitante Ufficiale dell’Esercito originario di Pirri, molto sportivo e salutista.

“Credo che prenderò questa stampante…”, disse Gavina. “Non avete avuto nessuna notizia riguardante le indagini?”, aggiunse poi con poca delicatezza.

“Sia io che mio marito siamo stati ascoltati dai Carabinieri… Ma non posso dire altro”.

“Secondo te chi è stato?”, la incalzò Gavina.

“Non saprei… Certamente, gli ultimi mesi della vita di Antioco non sono stati sereni… So che volevano togliergli i terreni, espropriandoli in cambio di pochi soldi… Lui non era d’accordo, quei terreni avevano sempre avuto per lui un valore affettivo e, inoltre, ultimamente non navigava in buone acque…

Avrebbe accettato di cederli solo se gli avessero fatto una buona offerta, che, però, mi risulta che non sia mai arrivata…”.

“Allora è vero che aveva avuto dei litigi con il Sindaco?”, chiese Gavina.

“Così dicono… Ma non si può mai fare affidamento su ciò che dice la gente… Pensa che c’è chi si è permesso di dire che Antioco l’ho ucciso io o mio marito Gaetano. Ridicoli…

È vero che all’inizio Antioco non aveva preso bene la fine del nostro matrimonio e che a lungo siamo stati in cattivi rapporti. Ormai, però, aveva accettato quanto accaduto e se n’era fatto una ragione. Del resto, con Gaetano siamo sposati già da tre anni. Né io né lui avevamo alcun motivo di contrasto con Antioco, avevamo ormai superato le divergenze ed ognuno aveva preso la propria strada.

Anzi, Gaetano lo aveva anche aiutato per quanto riguarda la questione dei terreni. Sapevamo che la sua attività di ceramista non procedeva molto bene ultimamente e non ci sembrava corretto il modo in cui era stato calcolato l’indennizzo per l’esproprio. Gaetano diceva che non era legale, che avrebbero dovuto versargli una cifra molto più alta di quella che gli stavano offrendo.

Gaetano stesso andò a parlarne con il Sindaco, per tentare di convincerlo a modificare l’offerta, il giorno prima che trovassero il cadavere a Serrenti Nord”, concluse Giada.

Gavina pagò la stampante, si congedò ed andò via dal negozio.

Mentre tornava a casa, passò davanti al laboratorio di Borore Podda, artigiano storico antagonista di Antioco, e pensò bene di entrare per porre anche a lui qualche domanda.

Borore era un uomo di poche parole.

Nonostante le richieste insistenti di Gavina, non si lasciò sfuggire alcun commento, limitandosi a risposte monosillabiche evasive.

Gavina pensò, a quel punto, di rivolgersi anche alla vice-Sindaco, Alenixedda Lilliu.

Si accordarono per incontrarsi al bar principale del paese, il “PabilCaffè”.

“Secondo me, si tratta di un errore giudiziario”, esordì Alenixedda. “Conosco il Sindaco da tanti anni e sono certa che non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non è certo il tipo che se ne va in giro ad ammazzare le persone… Lo conosciamo tutti, lo abbiamo televotato in tanti… È una persona seria, equilibrata.

Forse sarà vero che abbia avuto dei contrasti con Lussurgiu, come dicono, ma certamente non li avrebbe risolti in modo così violento. È sempre stato una persona allegra e gioviale, amico di tutti.

Prima di essere eletto faceva lo psichiatra… E quante persone ha aiutato! Da quando è diventato Sindaco, però, ha smesso di esercitare. Gli impegni in Comune lo assorbono completamente e poi i progetti della nostra coalizione sono molto molto ambiziosi, quindi ci richiedono un grande dispendio di tempo ed energie. Io stessa…”.

La conversazione tra Gavina e la vice-Sindaco, tuttavia, fu bruscamente interrotta dalle sirene di un’ambulanza-drone che si dirigeva verso la terrazza della palazzina del mago.

Capitolo 5.

L’ultima carta.

Quando entrarono nello studio del mago, i medici dell’ambulanza si trovarono davanti una scena straziante: Zuddas era seduto sulla sua poltrona, con la bocca aperta, gli occhi spalancati, un’espressione di terrore sul viso ed una delle sue carte metalliche dei tarocchi conficcata nel collo. I suoi abiti erano grondanti di sangue.

Purtroppo, non c’era nulla che si potesse fare: Zuddas era deceduto.

Sul luogo era presente anche Gonaria Vernant, la segretaria, palesemente in stato di shock.

Il Pubblico Ministero si precipitò nell’appartamento, assieme al Vice-commissario ed alla Polizia Scientifica, per i rilievi e gli accertamenti del caso.

Successivamente, su richiesta del P.M., arrivarono anche il medico legale, uno psichiatra ed un interprete della L.I.S. (Lingua dei Segni Italiana).

Il Pubblico Ministero, infatti, avrebbe voluto interrogare immediatamente Gonaria ma ciò si rivelò impossibile, a causa dello stato d’animo estremamente turbato della donna.

Anche lo psichiatra suggerì di rinviare l’interrogatorio: non c’erano le condizioni per poter procedere.

Le autorità, pertanto, si limitarono, momentaneamente, ad effettuare gli altri accertamenti.

In tal modo, notarono che tutte le altre carte del mazzo erano misteriosamente sparite.

La notizia dell’omicidio si diffuse rapidamente in paese.

In particolare, qualcuno telefonò alla vice-Sindaco per avvisarla mentre era ancora al “PabilCaffé” con Gavina.

Alla notizia della morte del mago, Alenixedda scoppiò in lacrime ed andò via di corsa.

Capitolo 6.

Un passo falso.

Il mattino seguente, “La Gazzetta di Pabillonis” riportava la notizia dell’assassinio del mago, specificando che, al momento, nessuno risultava iscritto nel Registro degli Indagati.

Sullo stesso giornale era stato pubblicato, inoltre, un altro articolo sull’omicidio di Lussurgiu.

In esso, si sosteneva che gli esiti degli esami condotti dalla Scientifica avessero rivelato che il colpevole fosse alto circa 1,80 m, di corporatura robusta, probabilmente un uomo.

Inoltre, sotto le unghie della vittima erano stati rinvenuti alcuni frammenti di D.N.A., che erano stati analizzati e confrontati con i dati contenuti nella B.D.U.D.U. (Banca Dati Universale del D.N.A. Umano).

In questo modo, gli inquirenti avevano scoperto che i frammenti di D.N.A. rinvenuti appartenevano al Dott. Gaetano Domu (attuale coniuge di Giada Di Gesturi), la cui statura e corporatura, peraltro, corrispondevano alla descrizione.

Pertanto, il Sindaco Brundu era stato rilasciato e si era proceduto all’arresto di Domu.

Gavina lesse l’articolo con estrema attenzione.

Per quanto le prove “scientifiche” sembrassero schiaccianti, quella ricostruzione non la convinceva appieno.

Infatti, le parole di Giada l’avevano persuasa del fatto che Domu non avesse alcun movente per uccidere Lussurgiu.

Decise, pertanto, di andare a parlare della questione direttamente con il primo cittadino, ormai libero.

Cercò di esporgli i suoi dubbi ed insistette per sentire la sua opinione in proposito.

Brundu, tuttavia, si rifiutò di proseguire la conversazione, sostenendo di essere molto provato e stanco, e la invitò ad andarsene.

Gavina non era disposta a demordere e continuò a fare domande.

Gli fece notare che Gaetano non avrebbe avuto alcun motivo per uccidere Antioco e che, anzi, i due erano ormai talmente in buoni rapporti che Gaetano si era interessato della vicenda dei terreni, aveva cercato di aiutarlo.

“E Lei, Signor Sindaco, questo lo sa bene… Perché il giorno prima dell’omicidio Gaetano andò da Lei per convincerLa a modificare la quantità di denaro dell’indennizzo.

Che cosa vi siete detti esattamente quel giorno? Che cosa è successo dopo?”, disse Gavina.

“Non so di cosa parli”, rispose Brundu con disprezzo.

“Io invece credo che lo sappia molto bene! Cosa sta nascondendo? Perché non vuole parlare della conversazione che ha avuto con Gaetano il giorno prima dell’omicidio?”.

Gavina continuava la sua personale indagine con molta insistenza e Brundu capì che la sua ostinazione avrebbe potuto rappresentare una grossa minaccia per lui.

Non poteva permettersi ulteriori dubbi sulla trasparenza del suo operato.

Tutto ciò per il quale aveva lavorato negli ultimi anni ed in cui aveva fermamente creduto rischiava di colare a picco, di sgretolarsi e di inabissarsi definitivamente.

Non poteva permettere che ciò accadesse.

Si avvicinò a Gavina e, davanti ai suoi occhi, cominciò a muovere velocemente le dita della mano destra da sinistra a destra per fissare la sua attenzione.

Iniziò a parlarle con tono calmo e persuasivo, al fine di depotenziare i suoi abituali schemi di riferimento e convincerla che lui non avesse nulla a che vedere con l’omicidio.

La sua intenzione era quella di ipnotizzarla, sfruttando le tecniche che lungamente aveva utilizzato in passato, in qualità di psichiatra.

Non sapeva, però, che Gavina era refrattaria all’ipnosi.

Capitolo 7.

La verità emerge sempre.

“Si può sapere cosa sta facendo? Sta cercando di ipnotizzarmi? È impazzito? Io chiamo subito i Carabinieri! Non finisce qui! Questa me la pagherà cara! Lo vedrà!”, gridò Gavina.

Accortosi dell’errore di valutazione appena commesso, il Sindaco ebbe un crollo nervoso, inevitabile esito del macigno che, ormai da giorni, pesava sulla sua coscienza.

“Che cosa ne sai tu di quello che ho passato e che sto passando?”, disse in lacrime.

“Era tutto pronto, ci stavamo lavorando da quasi due anni… Volevamo cambiare le cose, costruire un nuovo edificio scolastico per dare un segnale forte di rinascita, di speranza. Sarebbe stato un nuovo punto di partenza, la base per una rivoluzione.

Il progetto della riapertura della stazione procedeva a grandi passi ma sapevamo che la stazione, da sola, non sarebbe stata sufficiente.

Bisognava cambiare le menti delle persone, bisognava riabituare le persone a ragionare, a studiare, ad approfondire. Il modo migliore era quello di costruire un nuovo, maestoso, edificio scolastico, in grado di ospitare centinaia di studenti, che comprendesse sia la scuola primaria che quella secondaria… E chissà, un domani, forse, anche l’Università… Pabillonis sarebbe stato un punto di riferimento culturale fondamentale per tutti, un esempio illuminante.

Il problema è che, mentre procedevamo con i lavori per la Stazione, c’era sempre qualche imprevisto che ci costringeva ad aumentare il budget per la Stazione e a diminuire quello per la scuola.

Ad un certo punto, ci siamo ritrovati a poter offrire a Lussurgiu solo la metà di quanto avremmo dovuto. Non potevamo farci nulla, non avevamo altro denaro.

Ho cercato di spiegarlo anche al Dott. Domu, quando è venuto a parlarmi quel giorno. Diceva che Lussurgiu non era intenzionato a cedere, che avrebbe fatto ricorso, che ci avrebbe denunciato per abuso d’ufficio…

Non potevo permettere che questo accadesse. Tutto quello che faticosamente stavamo costruendo sarebbe stato distrutto… Ero in preda alla disperazione, alla frustrazione… Non sapevo cosa fare…

È stato un attimo… Mi è venuto in mente, non so come, di ipnotizzare Domu, ordinandogli di impedire in ogni modo a Lussurgiu di andare alla Procura della Repubblica di Serrenti per denunciarmi. E lui lo ha fatto…”, disse Brundu, scoppiando in un pianto ininterrotto.

“Dunque, Gaetano ha veramente ucciso Antioco”, pensò Gavina tra sé e sé, “anche se coartato dal Sindaco”.

In quell’istante, le tornarono per un attimo alla mente le parole del mago: “Tra i mali possibili, non scelse il maggiore”. Forse il mago intendeva suggerirle che “non scelse il maggiore” nel senso che il Maggiore non poté scegliere perché costretto dal Sindaco?

Non fece in tempo, tuttavia, a proseguire i suoi ragionamenti, perché improvvisamente suonarono alla porta.

Capitolo 8.

Atto finale.

Era la Polizia Giudiziaria, che, avendo ascoltato e registrato tutta la conversazione grazie agli apparecchi per le intercettazioni, arrestò nuovamente il primo cittadino.

Il Sostituto Procuratore, infatti, dopo che il G.I.P. aveva disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di Domu, aveva continuato ad indagare alla ricerca della verità.

Sospettava ancora di Brundu ma non aveva prove sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio. Aveva chiesto ed ottenuto l’autorizzazione per poter proseguire le intercettazioni nei confronti del Sindaco.

La Polizia Giudiziaria, subito dopo aver effettuato l’arresto di Brundu, procedette ad una nuova perquisizione dell’appartamento.

Nella credenza della cucina venne rinvenuta una biscottiera in ceramica finemente decorata, realizzata da Antioco Lussurgiu.

All’interno della biscottiera, gli agenti trovarono il mazzo di carte dei tarocchi del mago di Magomadas.

Vi erano tutte le carte tranne una… Quella utilizzata per uccidere la vittima.

A quel punto, la situazione di Brundu si aggravava ulteriormente.

“E va bene… Vi dirò tutta la verità…”, disse Brundu, rassegnato.

“Dopo l’omicidio di Antioco Lussurgiu, avevo realizzato la gravità di quello che avevo fatto… Mi ero sinceramente pentito… Volevo andare a costituirmi…

Ma, prima di andare dal Magistrato, ho ritenuto opportuno parlarne con la vice-Sindaco, così da mettere a conoscenza lei e la Giunta di quanto era accaduto… Volevo evitare che apprendessero la notizia direttamente dai giornali…

Alenixedda, però, mi convinse a non parlarne con nessuno, a non costituirmi… Disse che ormai il pasticcio era fatto e non si poteva più tornare indietro, che dovevamo concentrarci sul futuro della nostra comunità…

Io feci l’errore di darle retta… Ci mettemmo d’accordo sul fatto che non avremmo parlato con nessuno dell’omicidio di Lussurgiu.

Alcuni giorni dopo, tuttavia, Alenixedda stessa mi confessò di aver violato il nostro patto: aveva confidato tutto al suo amante, il mago di Magomadas, il quale aveva intenzione di denunciarmi.

A quel punto, andai io stesso dal mago, per offrirgli del denaro in cambio del suo silenzio.

Lui rifiutò… Allora gli feci un’offerta più alta… Ma non voleva proprio saperne… Non c’era verso di convincerlo…

Non potevo neppure ipnotizzarlo, perché lui, essendo a conoscenza di questa mia abilità e del fatto che l’avessi già utilizzata per costringere il Maggiore a compiere l’omicidio di Lussurgiu, non mi guardava nemmeno in faccia…

Stavo per andare via, quando all’improvviso… Mi balenò l’idea di ipnotizzare la sua segretaria, Gonaria Vernant… Per far sì che uccidesse Zuddas.

Prima di uscire dalla stanza del mago, gli sottrassi di nascosto le carte dei tarocchi. Giunto nella sala d’attesa, in cui vi era Gonaria, la ipnotizzai e le porsi io stesso il mazzo di carte; le dissi di prendere una carta e di usarla per tagliargli la gola…

Sono carte metalliche, taglienti… Adatte allo scopo.

Pensai che questo avrebbe potuto essere un buon modo per depistare le indagini…

Subito dopo, andai via e non dissi niente a nessuno di ciò che avevo appena fatto, neppure ad Alenixedda.

Portai con me le altre carte con l’intenzione di distruggerle, dato che sopra c’erano anche le mie impronte… Ma poi non l’ho fatto, le ho nascoste in casa mia e non ho avuto più il cuore di aprire quella biscottiera, per tutto ciò che mi ricordava…”.

A causa delle affermazioni del Sindaco, anche la vice-Sindaco venne iscritta nel Registro degli Indagati, con l’accusa di favoreggiamento, ed immediatamente arrestata.

Al termine del processo, entrambi gli indagati furono condannati a pena detentiva.

Dunque, Gavina, con la sua ostinazione, contribuì -in parte- a ricostruire la verità di quei dolorosi fatti.

Per molti anni fece sfoggio del proprio coraggio, raccontando a tutti i dettagli del caso di cui, spontaneamente e per puro spirito di giustizia, si era occupata.

Si conclude, in tal modo, la vicenda del “Giallo di Pabillonis”…

D’altro canto, è a tutti noto che, nei racconti gialli, il colpevole (volente o nolente) è sempre il Maggior Domu… Oppure la Go. Vernant.

NOTA: Si tratta di un racconto di pura fantasia e, quindi, assolutamente non riconducibile alla realtà. Ogni riferimento a persone esistenti o esistite o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

5 commenti su “Il Giallo di Pabillonis”
  1. Bello. E’ stato un piacere leggerlo. Intrigante e particolare la storia, scritta bene, con i termini giusti e poi… bella l’ambientazione. Complimenti!

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