Voglio distendere le dita della mia mente,
lasciar cadere il mantello dei raccolti.
Voglio liberare l’onda dell’oblio,
spietata sulla dura pietra tempo.
Voglio cadere nel mio centro,
coincidere con l’antico battito.
Voglio poter essere,
senza dover chiedere come.
Voglio liberarmi del peso,
l’opprimente peso dell’essere.
Voglio essere una nocciola,
bastare a me stessa nel mio guscio.
Voglio essere la mia piccola porta
aperta sulla mia notte primitiva.
Voglio esplorare l’effimero delle mie fantasie,
lasciarmi distruggere dagli assalti dei miei colori.
Voglio portare un sogno verso il centro,
liberarlo dalla circonferenza.
Voglio risposte fuori dal mio tempo
a domande che nessuno mi farà.
Voglio essere fuori di me stessa,
libera dalla mia autorità opprimente.
Voglio liberare le mie vele,
attraversare i miei poli.
Voglio farmi portare dal mio vento
a fare il suo gioco seriamente.
Voglio imparare per dimenticare,
ridisegnare i miei sentieri.
Voglio alimentare il mio fuoco
sotto le furenti piogge d’occhi.
Sarò torre in pietra,
circolo compatto, mia fortezza.
Serrerò le mie finestre
sulla madre dei miei anni.
Mi espanderò nei cerchi del tronco
per distendere i miei rami.
Dormirò da sola con i miei spettri
contando le dita dei miei cadaveri.
Darò degna sepoltura ai miei templi
perché i tempi non li corrompano.
Indicherò la via all’acqua stagnante
regalando dolci rigagnoli.
Nutrirò i pesci con l’acqua dei miei demoni
per realizzare i sogni.
Mangerò pane da mani bianche
liberando carezze sedimentate.
Sarò l’alchimista della mia pietra
per riunirmi alla mia scintilla.
Celebrerò le nozze delle mie nature,
le unirò in nuova frattura.
Sospenderò il mio continente
sul mio fluido mare.
Lascerò le mie distanze al passato,
consistendo in ciò che ero.
Possiederò solo ciò che sono
reclamando il diritto di non restare.
Godrò del senza tempo
orientando l’infinito.
Sarò molte e una
scovando le mie ombre.
Sarò il massimo e il minimo,
criminale e giustiziere.
Scioglierò il mistero dell’amore
in un soffio di vita.
Sarò l’apice delle mie ferite,
le porterò fiera, selvaggia guerriera.
Sarò l’ignoto più ignoto,
la parte del tutto, ammissione d’ imperfezione.
Sarò nella luce,
completezza sospesa.
Sarò mia sposa
eterna compagna del prima e dopo in ogni tempo.
Un grido, un’affermazione, una rivendicazione al diritto di essere e di esistere nel modo scelto e rispettoso di quell’essere specifico e unico che é dato di essere e che diventa scelta cosciente.
Non è facile acquisire tale consapevole certezza, ma, arrivata al dunque, nessuna donna rinuncia a tale possibilità.
Ritrovare l’abbraccio con se stessa e riconoscere quelle braccia come uniche capaci di comprendere è il destino finale di ogni persona.
Per una donna è il destino tramandato in linea femminile.
E la meschinità circostante è pari a niente.
Bravissima.
anna
Grazie Anna. I tuoi commenti sono sempre così intensi, e questo in particolare riesce a leggermi dentro meglio di quanto faccia io stessa.
Grazie. Un abbraccio